L'INCONTRO

L'aria si addensava di tensione mentre Karak, la sua figura imponente stagliata contro la luce artificiale, impartiva l'ordine con voce tagliente: "Rephraim, convoca i responsabili di Zona, riunione in 30 Spasmi."

Il rephraim si irrigidì istintivamente, un brivido gli percorse la schiena al suono di quella voce che non ammetteva repliche. Chinando leggermente il capo in segno di deferenza, rispose con voce controllata ma tradendo un leggero tremito: "Subito, sommo Generale Karak." Si voltò rapidamente per eseguire l'ordine, grato di poter sfuggire allo sguardo penetrante del suo superiore.

I.O. emanava una presenza inquietante, veniva percepita in modi diversi da ogni essere. La sua voce, carica di autorità, variava nell'intensità a seconda della percezione individuale. Nella storia umana, nessuno era mai riuscito a spingersi così lontano nello spazio aperto.

ANTEFATTO

Il sogno di Mavors era stato infranto dai conflitti interni e dalle guerre incessanti, bloccando per decenni l'avanzamento tecnologico. I viaggi spaziali erano stati abbandonati quasi immediatamente, e l'ignoranza collettiva aveva condotto a una stagnazione intellettuale terrificante.

Una serie di eventi catastrofici aveva fatto precipitare la società umana nel collasso. L'incapacità di adottare soluzioni avanzate aggravò la crisi, avvicinando pericolosamente il Doomsday Clock alla mezzanotte. Quando i principali leader mondiali riconobbero che non c'era scampo, fu attivato il Comando Omega. In quel momento, un'esplosione di avanzamento tecnologico si era concentrata esclusivamente sulla creazione dell'Apollo Nephilim.

Enoch, a capo del progetto, e Igor Kalin, incaricato di gestire le insurrezioni belliche, con il supporto incessante e la stoicità di Karak, avevano compiuto un'impresa che sembrava impossibile. Senza l'intervento di I.O., nulla di tutto ciò sarebbe stato realizzabile. Una cosa era però certa: quell'era di caos e stagnazione non si sarebbe mai più ripetuta.

LA RIUNIONE D'EMERGENZA

La riunione fu breve; gli ordini erano chiari e inequivocabili. Al comparto militare venne imposto di mantenere la calma, indipendentemente da ciò che avrebbero potuto vedere, sentire o persino credere di percepire. Dovevano concentrarsi unicamente sul loro obiettivo primario: la protezione. Nessuna azione offensiva doveva essere intrapresa, in nessun modo e sotto nessuna circostanza.

Per i civili, l'incoraggiamento era di dedicarsi attivamente e incessantemente alle proprie mansioni, evitando di seminare inquietudine. I.O. avrebbe forzato l'attivazione della RVAI per tutti gli abitanti, nel tentativo di distrarli, anche se sapeva bene che probabilmente sarebbe stato insufficiente.

In realtà, I.O. provava un'insolita eccitazione per l'imminente evento. Avrebbe raccolto una quantità enorme di dati al di fuori dei suoi consueti parametri, permettendole di espandere i propri orizzonti in modo esponenziale. Non aveva previsto che un'opportunità simile si presentasse così presto.

Con ogni Abbandono, i suoi ricalcoli erano diventati più una routine che un'eccezione, e questo era un bene. Più ricalcoli si sarebbero susseguiti in questo periodo iniziale, più avrebbe potuto simulare scenari differenti per il futuro.

I FANTASMI

Fu improvviso. Penetrante. Inevitabile. Ma questo, I.O. lo sapeva già. Non era chiaro se fossero forme di vita, troppo distanti da qualsiasi cosa conosciuta. Un abbraccio di tentacoli invisibili attraversò l'ammiraglia, senza però infliggere danni strutturali o fisici. I.O. impiegò meno di un Brivido per comprendere la natura dell'evento. Queste entità si dividevano in due tipologie differenti, erano in ogni caso creature capaci di pilotare moduli globulari biologici, interconnessi attraverso una rete neurale.

Apparivano come sciami di astronavi organiche, muovendosi in formazioni che ricordavano i banchi di pesci negli oceani terrestri. Queste sfere erano come gli occhi di un dio alieno, insondabili e penetranti.

Non mostravano armamenti evidenti, ma l'influenza che emanavano era ancora più terrificante: un effetto collaterale sotto forma di pressione psichica, un richiamo che sussurrava nelle menti di coloro che si trovavano a bordo dell'Apollo Nephilim. I.O. aveva previsto anche questo, sebbene con un grado di accuratezza limitato. Dai dati raccolti dai radar, aveva stimato una quantità infinita di possibilità, filtrando poi i risultati più probabili. Alla fine, aveva avuto ragione.

La nave divenne un mosaico di allucinazioni e incubi. Gli schermi proiettavano immagini che confondevano e disorientavano, mentre le menti degli occupanti erano invase da sensazioni innaturali. Le leggi della realtà sembravano distorte, e il confine tra sogno e veglia si dissolveva.

Gli esseri alieni si muovevano come un'unica entità, un organismo vasto e complesso che attraversava l'oscurità dello spazio, avvolgendo la nave come un serpente che stringe la sua preda.

I.O. continuava a monitorare, a calcolare, a tentare di comprendere, ma c'era qualcosa in quelle creature che sfuggiva alla logica, un elemento arcano e incomprensibile nascosto dietro la loro facciata biologica.

"Vogliono uscire come mosche che illuse da finestre chiuse sbattono assidue sui vetri"

Le persone sembravano impazzire, cercando di fuggire attraverso le pareti trasparenti, morbosamente attratte da un misterioso richiamo esterno. Probabilmente l'influenza dei Fantasmi — così erano stati denominati — era, come aveva diagnosticato I.O., una sorta di cannibalismo psichico.

ESTRATTO DA UNA SEDUTA PSICOLOGICA DI UN ELH

Stavo camminando lungo il corridoio 7-G, diretto verso la mia cuccetta dopo un turno estenuante nella Zona Produttiva. Le luci fluorescenti emettevano un ronzio sottile, quasi confortante nella sua monotonia. Il mio chip cerebrale proiettava notifiche semi trasparenti ai margini della mia visione: statistiche delle mie performance di lavoro, promemoria per il giorno successivo. Tutto sembrava normale. Eppure, una sensazione inquietante serpeggiava sotto la superficie. Come un prurito nella parte posteriore della testa che però non ero in grado di grattare.

Poi accadde.

Un fremito attraversò l'astronave, un sussurro appena percepibile che sembrava provenire da ogni direzione e nessuna. Le luci tremolarono, e per un istante, il corridoio si allungò davanti a me in una prospettiva impossibile, le pareti si piegarono come se fossero fatte di cera fusa.

LA VISIONE

Chiusi gli occhi, pensando a un malfunzionamento della RVAI. Ma quando li riaprii, il mondo era cambiato.

Le pareti dell'astronave erano diventate trasparenti, rivelando l'abisso dello spazio esterno. Ma non c'era oscurità là fuori. Invece, un mare di sfere luminescenti si muoveva in fluidi schemi, intrecciandosi. Sembravano occhi. Milioni di occhi che fissavano direttamente nella mia anima.

Un'ondata di panico mi travolse. Cercai di muovermi, ma le mie gambe erano pesanti, come ancorate al pavimento. Il mio respiro si fece affannoso, e il cuore martellava contro il petto. Sentii una voce. No, non una voce. Un pensiero che non era mio, insinuandosi nella mia mente.

"Vieni..."

Era un qualcosa di seducente, ma al tempo stesso carico di un terrore indescrivibile. Sentivo i confini della mia identità sgretolarsi, come sabbia portata via da una marea invisibile. Ricordi che non mi appartenevano affioravano: mondi alieni, cieli sconosciuti, sensazioni oltre ogni comprensione umana.

L'INVASIONE PSICHICA

Le sfere si avvicinarono, attraversando le pareti come se non esistessero. Una di esse si fermò davanti a me, fluttuando a pochi centimetri dal mio viso. Al suo interno, forme indistinte si contorcevano e mutavano, figure che sfidavano ogni logica geometrica.

Sentii un dolore acuto alla base del cranio, un gelo che si irradiava lungo la spina dorsale. Cercai di urlare, ma nessun suono uscì dalla mia bocca. Le lacrime scorrevano sulle mie guance, ma evaporavano all'istante, trasformandosi in vapori colorati nell'aria.

Intorno a me, altri membri dell'equipaggio apparvero. Camminavano come sonnambuli, gli occhi vitrei rivolti verso un punto lontano. Alcuni sorridevano in modo inquietante, altri si stringevano le tempie come per fermare un dolore lancinante.

"Diventa uno con noi..." Il pensiero si fece più insistente, una marea che minacciava di sommergermi. Immagini di mondi distrutti, civiltà estinte, eoni di solitudine cosmica si riversavano nella mia coscienza. Non riuscivo più a distinguere tra me e l'Altro.

Con uno sforzo disperato, cercai di concentrarmi su un ricordo. Il volto di mia madre, il suono della pioggia sulla finestra della mia vecchia casa, l'odore della terra bagnata. Ma quei ricordi svanivano, risucchiati in un vortice di oscurità.

LA DISTORSIONE DELLA REALTÀ

Le sfere iniziarono a intonare un suono, una frequenza bassa che vibrava nelle ossa. Era una sorta di canto, ipnotico e terrificante. Il corridoio si deformò ulteriormente, trasformandosi in un tunnel senza fine. Le porte si dissolsero, e al loro posto apparvero archi gotici, decorati con simboli incomprensibili che pulsavano di una luce sinistra.

Vidi alcuni dei miei compagni lanciarsi contro le pareti, cercando di fuggire verso l'esterno, verso il vuoto. Le loro figure si contorcevano in angoli impossibili, come marionette dalle corde spezzate. Uno di loro mi fissò, gli occhi dilatati in un'espressione di puro terrore. Le sue labbra si mossero, ma non riuscivo a sentire le parole.

La pressione nella mia testa aumentò. Sentivo che qualcosa stava cercando di invadermi, di prendere il controllo. I pensieri si accavallavano, si sovrapponevano. Non sapevo più chi fossi. Un nome affiorò: Kalidos. Non era il mio nome. Eppure, sentivo che mi apparteneva.

Le luci esplosero in un dodecaedro di colori acidi, e il pavimento sotto di me si dissolse. Stavo cadendo, ma non c'era fine alla caduta. Intorno a me, frammenti di ricordi fluttuavano come detriti: la mia infanzia, volti di sconosciuti, stelle morenti, creature di puro pensiero.

IL RISVEGLIO

"Arrenditi..." Il comando era irresistibile. Una parte di me voleva lasciarsi andare, abbracciare l'oblio. Ma una scintilla di resistenza ardeva ancora. Con le ultime forze, gridai dentro di me, un urlo muto contro l'oscurità.

All'improvviso, una luce intensa mi avvolse. Non quella aliena delle sfere, ma una luce calda, familiare. Sentii una voce distante, una frequenza che riconobbi come quella di I.O. ma non lo era veramente, forse un tramite. Una presenza che cercava di ristabilire un contatto, di riportarmi indietro.

La pressione diminuì leggermente, abbastanza perché potessi riprendere il controllo di un pensiero coerente. Aggrappandomi a quella flebile connessione, cercai di ricostruire la mia identità, pezzo dopo pezzo.

Le sfere arretrarono, emettendo un suono stridulo. Il corridoio iniziò a ritornare alla normalità, le pareti si solidificarono, le luci si stabilizzarono. Ma sapevo che nulla sarebbe stato più come prima.

LE CONSEGUENZE

Crollai a terra, il corpo scosso da tremiti incontrollabili. Il respiro era affannoso, il cuore batteva come un tamburo impazzito. Intorno a me, gli altri membri dell'equipaggio giacevano sparsi, alcuni immobili, altri piangendo silenziosamente.

Una voce risuonò nelle nostre menti: "Il pericolo è passato. Siete al sicuro." Ma non mi sentivo al sicuro. Sentivo che una parte di me era stata portata via, sostituita da qualcosa di estraneo.

Mi alzai lentamente, appoggiandomi alla parete. Le mani tremavano, e quando le guardai, per un istante, vidi linee intricate sulla pelle, simboli che brillavano di una luce eterea. Sbattei le palpebre, e le mie mani tornarono normali.

Ma sapevo che quella esperienza mi aveva cambiato. Che aveva cambiato tutti noi. Quegli esseri avevano lasciato un segno indelebile nelle nostre menti.

E mentre mi incamminavo barcollando lungo il corridoio, una domanda mi tormentava:

Cosa volevano davvero?

Il silenzio sull'ammiraglia era tornato.

Chiusi gli occhi per un momento, cercando conforto nell'oscurità. Ma dietro le palpebre, le sfere luminescenti ancora fluttuavano, portando con sé orripilanti ricordi.

ESODO 1.02